Tra le tante misure di contenimento del Covid-19 ci sono stati i limiti di spostamento, e l’invito a rimanere a casa. Si sarà visto all’annuncio di decreti restrittivi da parte dei governi , la corsa ai supermarcati e l’acquisto di quantità abnormi di alimentari, acqua e altro. Curioso l’accaparramento da parte di alcuni di quantità industriali di carta igienica, sufficienti a coprire mesi di utilizzo.
In Corea del sud si sono resi necessari presidi della polizia per evitare che scorte di carta igienica venissero razziate e rubate. Ed evitare che le scorte private mandassero in sold out per i normali consumi le scorte disponibili.
Ma qual’è il meccanismo psicologico che scatta in presenza di una restrizione, per quanto temporanea? E’ chiaro che la paura più grande è il dover fare a meno a cose che sono considerate il minimo indispensabile per una decorosa ‘sopravvivenza’. La paura di non poter più uscire per l’aggravarsi della situazione. Una situazione anomala e imprevedibile come l’esplosione di una pandemia.
Probabile che si debba collegare ai meccanismi primordiali di sostentamento e sopravvivenza in presenza di una minaccia, come accadde per i rifugi anti-atomici quando negli anni 70-80 imperversava la guerra fredda.
Certo è che l’essere umano abituato fino a ieri alle più disparate comodità non sopporta più, sul piano psicologico, che possano essere messo in forse abitudini e beni basilari a cui si fa affidamento ormai senza messe in discussione. Le emergenze portano una sveglia per affrontare realtà inaspettate, anche se di fatto in questo caso è davvero ridicolo.